La pizza
La pizza: un concentrato di genio e necessità
La pizza rappresenta una parte fondamentale dell'identità storica e gastronomica italiana. Nella pizza il resto del mondo riconosce l’italianità e in essa gli italiani si riconoscono: è un simbolo d’appartenenza. Le origini della pizza risalgono a tempi lontani e sono legate al mondo della panificazione: questo legame permette di rintracciare nelle varie tradizioni del pane un fil rouge che unisce l’Italia al mondo.
La storia della pizza, così come la conosciamo noi, ebbe inizio a Napoli: qui si fece di necessità virtù. La fame, si sa, stimola l’intelletto e così accadde nella città partenopea: qui nacque, grazie alle mani e al genio del suo popolo, LA PIZZA. Fu, forse, la risposta più sostenibile e democratica al bisogno di sfamarsi.
Esistono, infatti, pochi cibi in grado di soddisfare in maniera congiunta le esigenze del gusto e quelle del benessere, a costi accessibili per tutti. È “un perfetto esempio di gastronomia democratica, di cibo social e anche educational”.
Origini del nome “Pizza”
L’origine della parola “Pizza” è oggetto di numerose argomentazioni, sebbene si convenga nel ritenere che all’origine della parola latina medievale, poi napoletana ed infine italiana ci siano parole importate in Italia da Goti e Longobardi. Dopo i Romani, i Longobardi diedero il loro storico contributo alla pizza attraverso un termine preciso bizzo-pizzo, dal tedesco bizzen, ovvero “morso”.
Questa parola era utilizzata dai dominatori germanici per indicare la focaccia scondita. La storia della pizza è ripercorribile attraverso i termini che, nel corso dei secoli, sono stati utilizzati per identificarla.
Da morso a boccone, da pezzo di pane fino alla parola "focaccia": è un percorso logico che i linguisti chiamano “processo di traslato metonimico”. Il termine pizza appare per la prima volta prima dell’anno Mille: nel 997, nel Codex cajetanus di Gaeta, viene utilizzata la parola “piza” per indicare una focaccia.
Il Seicento
Nel Meridione, la schiacciata di farina di frumento impastata con aglio e condita con strutto e sale grosso continua a riscuotere un grande successo; risale a questo periodo la sostituzione dello strutto con l’olio d’oliva e l’aggiunta del formaggio e delle erbe aromatiche. Agli albori del XVII secolo fa la sua apparizione una ricetta dal profumo di basilico, la pizza “alla Mastunicola. Non ci sono descrizioni precise riguardanti la pizza, è quasi certo - però- che il termine si sia affermato a Napoli.
Al Sud, il termine pizza è associato ad una focaccia, schiacciata, condita con ciò che si aveva a disposizione. Siamo ancora lontani dalla vera pizza: queste schiacciate non erano altro che prove da forno per il pane. Deriva da queste “prove da forno” l’uso -tipicamente meridionale- di vendere le pizzette cotte in teglia. Si tratta di un “lascito gastronomico” della tradizione, una forma di memoria storica.
Il Settecento
Intorno al ‘700 la pizza napoletana iniziò a distinguersi non solo per la forma e il condimento, ma anche per l’insorgere di un carattere autonomo, innovativo e specifico. Non si sa precisamente quando venne inventata la pizza napoletana; di certo, però, è da intendersi come un’evoluzione, ma anche come una specializzazione, della manipolazione dell’impasto (conosciuto, in forme simili, da secoli) così come della cottura.
A partire dal ‘700 la pizza è diventata un “capolavoro della gastronomia povera”; risale a questo periodo la sua ascesa nei vicoli partenopei, fino a diventare simbolo del Belpaese. L’arte dei Pizzaioli, però, è antichissima; secondo alcuni storici deriverebbe dalla preparazione delle mensae, ovvero le schiacciate di grano cotte al forno, anticamente utilizzate per appoggiarci sopra dei cibi.
- L’espressione “Andiamo a farci una pizza”
Nella preparazione della pizza è custodito il fine ultimo di questo cibo: lo scambio di emozioni e la capacità di creare dinamiche di socializzazione. Nella ritualità della preparazione è celato il rispetto più profondo nei confronti del consumatore: il pizzaiolo non lavora mai dando le spalle ai clienti, ma di fronte a loro. L’arte dei pizzaioli napoletani “è l'espressione di una cultura materiale e immateriale che unisce”.
Questa espressione trova un risvolto concreto e tangibile nell’abitudine di mangiare la pizza e nel lessico che descrive questo atto, sempre più affine ad un rito: nel gergo comune, infatti, si è soliti dire "andiamo a farci una pizza” e non “andiamo a mangiare una pizza”. Nell’andare a farsi una pizza è racchiuso il senso più profondo di quel rapporto biunivoco che si instaura fra pizzaiolo e consumatore: la ricetta della pizza prevede una buona dose di convivialità, perché la pizza è il risultato di un processo di co-produzione.
- La pizza sposa il Pomodoro
La Margherita e la Marinara, le pizze per antonomasia, sono relativamente recenti: sono figlie del matrimonio tra la pizza (intesa nella sua forma più rustica) e il pomodoro, arrivato da terre lontane. Il pomodoro arrivò in Europa, dal Perù, alla fine del XVI secolo.
Ci sono voluti duecento anni prima che il pomodoro trovasse il suo ruolo all’interno della gastronomia mediterranea. In principio fu considerato una pianta ornamentale ed è interessante notare come alla fine del XIX secolo il pomodoro, negli Stati Uniti, non fosse considerato commestibile.
George Washington Carver scrisse un testo per convincere gli statunitensi a introdurre il pomodoro nella loro dieta: “Come crescere il pomodoro e i 115 modi di prepararlo per la tavola”. Altrettanta importanza ebbe la diffusione della pizza negli Usa grazie ai tanti lavoratori italiani emigrati oltreoceano per cercare fortuna.
- L’Ottocento
Non si conosce il nome del primo pizzaiolo, né la data in cui venne realizzata la prima pizza in assoluto (così come la conosciamo noi), è noto, però, che per tutto l’Ottocento le pizzerie vennero sempre chiamate “le botteghe del pizzajuolo”: solo verso la fine dell’Ottocento comparve la parola “pizzeria”. L’Ottocento fu il secolo d’oro per la pizza, i pizzaioli e le pizzerie: si arrivò alla completa e definitiva affermazione della pizza, si specializzarono sempre più pizzaioli e le pizzerie divennero sempre più diffuse.
La nascita della pizza e il suo ruolo culturale sono strettamente connessi con il sovraffollamento che ha caratterizzato Napoli per quattro secoli. La ricca varietà di cibo da strada trova una sua ragion d’essere nell’aumento demografico che si verificò a Napoli. La pizza, infatti, è la regina dei cibi da strada: rapida da cuocere, appagante, economica e fatta con pochi ingredienti.
- Raffaele Esposito inventò la Margherita: tra storia e leggenda
Si narra che il 21 maggio 1889 il re Umberto I e la regina Margherita di Savoia si recarono a Napoli e soggiornarono alla reggia di Capodimonte. Venne chiamato a corte un pizzaiolo di nome Raffaele Esposito. Esposito si recò alla reggia con la moglie Maria Giovanna Brandi.
Lì cucinò tre pizze che poi servì alla regina: una con olio, formaggio e basilico (la versione rivisitata della “Mastunicola”, ovvero la pizza più famosa dell’epoca), una pizza con i cecenielli e un’altra con pomodoro e mozzarella alla quale la moglie aggiunse il basilico. La regina apprezzò particolarmente quest’ultima per il sapore, ma soprattutto per i colori che le ricordavano la bandiera italiana. Incuriosita chiese il suo nome ed Esposito rispose così: “Margherita, in suo onore”.
- Perché la pizza nacque a Napoli?
Soltanto con il primo Novecento la pizza napoletana diventa la pizza per antonomasia. Secondo le fonti tradizionali, la pizza napoletana nacque all'incirca intorno alla prima metà del '700 in una delle tante taverne sparse per la città. All'interno di questi luoghi della gastronomia popolare al tempo si sperimentava un nuovo gusto e una nuova "veste per la plurisecolare focaccia".
Perché nacque proprio a Napoli? A Napoli, al tempo, si concentravano i fattori che contribuirono alla diffusione del prodotto: l'ambiente naturale, la situazione sociale, la pressione demografica, la povertà e la storia della città. La pizza nacque lì dove più forze popolari, sociali e culturali lavorarono in maniera sinergica e latente.
- Ambiente naturale
Il clima e l’ambiente hanno indubbiamente contribuito nel favorire la nascita e lo sviluppo della pizza a Napoli. Il suolo qui è naturalmente fertile e al tempo offriva tutti i prodotti necessari affinché si sviluppasse la pizza: il pomodoro, pur provenendo dal Sud America, era presente a Napoli già dal ‘500 e qui aveva trovato il suo habitat; la mozzarella veniva prodotta sui Monti Lattari della Penisola sorrentina; la sugna, ovvero il grasso di maiale, era molto diffusa a Napoli perché qui si era soliti allevare i maiali; l’olio proveniva dalla Penisola sorrentina; qui si trovavano, infine, ingredienti preziosi come l’origano, l’aglio e il basilico.
Vi erano, inoltre, i prodotti del mare: alici, cecenielli (alici appena nate), vongole, cozze e molluschi. Questi ingredienti avevano una caratteristica comune che fu determinante per la diffusione della pizza: erano economici e spesso considerati “poveri”.
- Ambiente socio-economico
Nel 1503 il Regno di Napoli passò sotto il dominio della Corona di Spagna. Questo avvenimento coincise con l’introduzione di una nuova figura politica, il viceré, e con una profonda trasformazione sociale: la maggior parte dei signori feudali si trasferì nella capitale per controllare da vicino l’operato del viceré; i signori feudali portarono al loro seguito il personale subalterno a cui si aggiunse una massa di contadini.
Si verificò, dunque, uno spostamento dalla campagna alla città di un gran numero di persone povere: la motivazione è di natura politica, nella capitale era assicurata, per disposizione regia, la distribuzione di pane a prezzo controllato o gratuito.
Tra l’inizio e la fine del’500 la popolazione napoletana passò da 100.000 abitanti a 350.000: Napoli divenne una delle città più popolose d’Europa. Il successo della pizza è da ricercare in questa grande migrazione, dalla campagna alla città, di gente povera e - soprattutto- affamata.
La pizza oltre i confini partenopei
La diffusione della pizza fuori dai confini partenopei avvenne lentamente a partire dai primi del Novecento. Al diffondersi delle pizzerie corrispose la rivalutazione della pizza: quest’ultima perse la sua connotazione di alimento povero per legarsi al concetto di svago, soprattutto serale.
Nel periodo compreso tra le due guerre l’abitudine di mangiar fuori non era tanto diffusa: la pizza si cucinava in casa oppure la si prendeva avvolta negli strofinacci. La pizza, in questo periodo, assume un ruolo diverso da quello ricoperto fino a quel momento: non era più il cibo dei lavoratori, il cibo spezzafame di mezza giornata.
A questa nuova modalità di consumo della pizza corrispose la “nascita” della pausa pranzo per gli impiegati, mentre i muratori portavano il pranzo da casa. Con il secondo dopoguerra si diffusero sempre di più i locali che offrivano la possibilità di pranzare o cenare: le pizzerie si moltiplicarono in molte città.
- La pizza oltreoceano
Prima che la pizza si diffondesse nel Nord Italia, si era già diffusa oltreoceano. Gli eventi storici che fecero da sfondo a questo avvenimento vengono racchiusi nella seguente espressione “grande migrazione”.
L’origine della diffusione della pizza oltreoceano è da ricercare in questo fenomeno migratorio: migrarono le persone, le loro abitudini, i loro riti e le loro ricette: la pizza divenne un antidoto contro la nostalgia della propria terra. La prima pizzeria aprì i battenti a New York nel 1895.
Nel giro di pochi decenni la pasta e la pizza diventarono gli alimenti più popolari negli Stati Uniti. I pizzaioli al tempo erano italiani, poi divennero oriundi, infine divennero pizzaioli gli americani. La situazione cambiò notevolmente con la fine della guerra: la pizza iniziò a viaggiare insieme agli italiani che si trasferirono o iniziò ad essere scoperta dai turisti che venivano a visitare il Belpaese.
- La pizza arriva al Nord
La seconda espansione invece, avvenne dopo la Seconda guerra mondiale: in questo periodo la pizza sconfina e giunge al Nord. La diffusione della pizza avvenne, per la seconda volta, grazie ad un flusso migratorio: con il boom industriale nel triangolo Milano, Torino, Genova migliaia di persone si spostarono dal Sud verso il Nord.
Anche in questo caso, cucinare divenne un modo per esorcizzare il distacco dalla propria Terra; migrarono con il loro bagaglio enogastronomico e lo diffusero rendendo meno estranea una realtà ancora non li apparteneva. Iniziarono a fare le pizze per i compaesani e successivamente per i locali.
In questo periodo, che ha inizio negli anni ‘60, è tutto un proliferare di pizzerie: dal Trentino al Veneto, dalla Toscana all’Emilia, fino all’Umbria. Con “il tempo si è capovolta la densità”, tanto che oggi sono più numerose le pizzerie nel Nord che nel Meridione.
- La pizza a Verona
Il 1962 fu l’anno in cui venne servita la prima pizza a Verona. Un primato di due pizzerie veronesi: la pizzeria “Alla Costa” e la pizzeria “Grottina”. Queste due realtà hanno dato a Verona e ai veronesi la possibilità di conoscere ed esperire il fantastico mondo della pizza. Fu l’inizio di una storia nuova, gastronomica e culturale allo stesso tempo.
La Famiglia Cortelletti rilevò la Costa nel 1968 dalla Famiglia Frigo: pasticcieri di antica data e primi pizzaioli a Verona. La pizza conobbe il successo e si diffuse in quest’area del Nord-Est principalmente grazie a queste due realtà. Giuliano Cortelletti, da ex albergatore, divenne “l’ambasciatore della pizza, in quanto vedeva in questo piatto un perno intorno al quale far ruotare la socialità”.
La pizzeria “Alla Costa” nel 2005 ha cambiato sede, si è trasferita in Piazza Bra, ad uno sguardo di distanza dall’Arena, diventando “La Costa in Bra”.
Il ruolo sociale delle pizzerie a Verona
Aprire una pizzeria, in uno spazio privo della tradizione della pizza, significò incidere profondamente nelle abitudini dei consumatori. Le pizzerie portarono oltre ad un’ondata di novità, una vera e propria rivoluzione: era accessibile, non esclusiva, buona e dignitosa.
L’economicità per la prima volta non fu sinonimo di mediocrità del cibo e rozzezza dell’ambiente. Le pizzerie, dunque, divennero spazi di socializzazione ed evasione per i più giovani: rappresentavano la via di fuga dagli occhi indiscreti dei genitori. Le pizzerie si collocano a metà strada fra la locanda/taverna e i ristoranti: diventano i luoghi delle coppiette.
Si può dunque affermare che la pizzeria divenne socialmente il luogo che accompagnò l’emancipazione di tutta una generazione.
Negli USA nello stesso periodo esplodono i “carshop service”: questa modalità di fruizione del cibo ebbe la capacità di coniugare la libertà dei giovani con il bisogno di privacy.
- La pizza per Cortelletti
Nella pizza, la Famiglia Cortelletti legge i grandi temi dei nostri giorni: “la globalizzazione, la tensione tra ricerca e tradizione, le sfide della sostenibilità, la promessa di benessere dell’industrializzazione, l’aspirazione all’uguaglianza nelle opportunità e alla partecipazione democratica”.
Di conseguenza, preparare una pizza significa dar vita ad un atto di cultura, un’affermazione di sé e della propria filosofia”.
- La rivoluzione del lievito
Il lievito è uno dei soggetti principali della storia enogastronomica scritta dalla Famiglia Cortelletti. Alla base di questa spinta innovatrice messa in atto vi è la voglia di rendere la pizza un cibo per tutti, nessuno escluso: la molla propulsiva è proprio l’inclusività. Questa rivoluzione nasce da una profonda consapevolezza: il lievito madre è un essere vivente e in quanto tale è ricco di cambiamenti e sorprese.
Lavorare con il lievito madre “porta con sé due lezioni fondamentali: rispettare la libertà della vita altrui e accettare con buona grazia tutto quello che non dipende dai noi”. Il lievito madre dell’Altro Impero è nato il 15 marzo 2015, mentre alla Costa in Bra è stato creato il lievito madre senza glutine il 31 gennaio 2016.
Il lievito madre senza glutine rappresenta la realizzazione di quel progetto di inclusività che costituisce la base della storia gastronomica di questa Famiglia.
- Lievito madre dell’Altro Impero Pizza & Natura
Il lievito madre dell’Altro Impero Pizza & Natura è nato il 10 marzo 2015. Una purea di mele di Zevio estratta a freddo ha fornito i primi zuccheri necessari perché si attivasse la naturale maturazione. Da allora, questo prezioso ingrediente è conservato al riparo dalla luce in appositi vasi in ceramica di Grottaglie, uno per ogni giorno della settimana. Sono stati realizzati appositamente per il locale e sono visibili sopra le mensole all’interno del locale.
Il lievito madre richiede una cottura a bassa temperatura e prolungata nel tempo: per questo motivo è utilizzato un forno elettrico di ultima generazione che consente di valorizzare la lunga lievitazione naturale e di realizzare una pizza di dimensione leggermente più contenuta, ma dal bordo alto e fragrante.
Il pizzaiolo di Altro Impero rinfresca il lievito madre ogni giorno e lascia riposare l’impasto per almeno 24 ore, prima di utilizzarlo per preparare la pizza.
- Lievito madre della Costa in Bra
Alla Costa in Bra si mangia una pizza senza glutine nella sua forma artigianale migliore. Viene preparata con un lievito madre completamente gluten-free, nato grazie alla dedizione dei pizzaioli della Costa il 31 gennaio 2016.
L’impasto fresco è un mix di farina di riso, mais e mandorle, e di lievito madre senza glutine già attivo e rinfrescato quotidianamente.
Poi si lascia che la lunga lievitazione naturale, di almeno 24 ore, lo renda leggero e digeribile.
Il lievito madre senza glutine della Costa è anche privo di lattosio. Come la celiachia, anche l’intolleranza verso questo tipo di zucchero è sempre più diffusa e noi volevamo rendere l’impasto della nostra pizza adatto anche a chi soffre di questo problema.